domenica 30 luglio 2023

Ho un dolore al ginocchio... Scritto da Samuele Graffiedi.

Dolore ginocchioQuello che descrivo di seguito è una situazione che capita molto di frequente, non solo agli sportivi, ma anche alle persone comuni. Supponiamo che correndo vi sia venuto dolore a un ginocchio. State fermi per qualche tempo e il dolore passa, ma, appena riprendete, eccolo che torna di nuovo. Se non siete sportivi, quello che solitamente succede è che un giorno vi accorgete di un piccolo dolore al ginocchio che invece di passare, tende a peggiorare nei mesi successivi. Forse vi sembra di avere già letto queste righe: è infatti lo stesso inizio di questo articolo.
Però questa volta il finale è diverso. Visto il dolore persistente, vi recate da un ortopedico che vi prescrive una Risonanza Magnetica Nucleare (RMN). Molto spesso la risonanza evidenzia una lesione del menisco mediale (generalmente è interessato il corno posteriore). Vi prescrivono un ciclo di antiinfiammatori e qualche terapia, ma il dolore persiste. Così l’ortopedico vi propone di sottoporvi a un intervento di artroscopia per rimuovere il frammento di menisco (l’intervento prende il nome di meniscectomia parziale). Significa che il chirurgo entrerà con sottili strumenti all’interno del ginocchio tramite 2-3 piccoli fori e rimuoverà il frammento di menisco lesionato. Dopo l’intervento può essere prescritto un piccolo ciclo di riabilitazione. Poi durante i mesi successivi recuperate man mano il vostro livello precedente e vi sentite molto meglio rispetto a prima dell’intervento.
Sia voi che il vostro ortopedico siete concordi nel dire che l’intervento chirurgico è stato un successo.
                                                                       Artroscopia di ginocchio 
Questa situazione si ripete circa 700 mila volte all’anno solo negli Stati Uniti, con un costo di 4 miliardi di dollari. In Europa i numeri sono simili. La meniscectomia parziale è, infatti, una delle procedure ortopediche più comuni. Ovviamente non sembra esserci nulla da ridire: più volte in passato ho consigliato io stesso a qualche mio paziente questo tipo d’intervento. Il presupposto che il dolore derivi dalla lesione meniscale è talmente evidente che non sembra esserci bisogno di pensarci su due volte.
Oppure no?
Studi precedenti hanno già dimostrato che l’artroscopia di ginocchio è inutile nell’artrosi (l’operazione in questi casi è comunemente chiamata “pulizia del ginocchio”). Nei pazienti con usura della cartilagine e artrosi uno studio ha mostrato che chi fa l’artroscopia e poi fisioterapia, dopo un anno è nella stessa condizione di chi ha fatto solo la fisioterapia (che tradotto significa: l’artroscopia è inutile). Nell’esempio di questo articolo sto però parlando di lesione meniscale senza grossa artrosi, per cui è intuitivo pensare che il problema abbia una natura meccanica, che richiede una soluzione meccanica: il menisco è rotto, rimuovo il frammento lesionato, il dolore scompare.
Ebbene, non è proprio così!
Il New England Journal of Medicine (NEJM), una autorevole rivista di medicina, ha da poco pubblicato uno studio fatto proprio per verificare il presupposto che la lesione meniscale sia la causa del dolore al ginocchio. Puntualizziamo che qui non si sta parlando della lesione meniscale dovuta a un trauma improvviso al ginocchio, come una caduta dagli sci oppure in un infortunio a calcio. Qui parliamo di lesione meniscale degenerativa, quella sostanzialmente dovuta a “usura cronica”. Nello studio in questione un gruppo di ortopedici ricercatori finlandesi ha arruolato 146 pazienti tra i 35 e i 65 anni con lesione meniscale cronica “da usura” e senza grossa artrosi (escludendo quindi lesioni meniscali dovute a traumi distorsivi del ginocchio). Molti di questi pazienti oltre al dolore avevano anche sintomi meccanici quali rumori articolari, schiocchi e sensazioni di blocco o cedimento del ginocchio. Siccome è ormai risaputo che anche sottoporsi a un intervento chirurgico ha un potente effetto placebo, lo studio è stato effettuato in modo che il paziente non potesse accorgersi se il suo menisco venisse veramente riparato o meno.
                                                            Lesione meniscale degenerativa                                                   
Per cui tutti i 146 pazienti hanno subito una artroscopia dopo avere avuto una anestesia locale: cioè il chirurgo ha infilato la telecamera e gli strumenti tramite i fori nel ginocchio di tutti i pazienti. Poi però a questo punto il chirurgo si fermava e veniva aperta una busta sigillata in cui era scritto semplicemente a quale gruppo apparteneva quel paziente. Ad un gruppo veniva praticata la riparazione meniscale, mentre l’altro gruppo subiva un intervento “finto” (in inglese si dice “sham”). Ovviamente in entrambi i casi l’ortopedico si comportava poi nella stessa maniera: chiedeva tutti gli strumenti all’assistente sempre nello stesso ordine. Addirittura nella parte in cui nell’intervento “finto” si sarebbe dovuto tagliare il frammento di menisco rotto, il trapano senza la lama veniva premuto contro l’interno della rotula per dare al paziente la stessa sensazione di vibrazione e rumore. Tutti i pazienti erano poi tenuti in sala operatoria la stessa quantità di tempo. Finita l’operazione, l’equipe chirurgica, l’unica a sapere quale intervento avesse avuto veramente quel paziente, non ha più rivisto i pazienti in futuro. Cioè tutte le valutazioni e i controlli futuri sono stati fatti da ortopedici che non sapevano a quale gruppo appartenessero i pazienti (gli studi fatti in questo modo si chiamano “in doppio cieco”, perché né il paziente né il medico che poi li valuta sanno a quale gruppo sono appartenuti, entrambi sono cioè “ciechi”. Si tratta degli studi dal più alto valore scientifico quando si cerca l’efficacia di un intervento medico, esattamente come succede per i farmaci quando il paziente non sa se ha preso il farmaco vero o la pillola di zucchero). 
                                                                              Studio in Doppio cieco...
La procedura di “finzione” fatta in questo modo si è rivelata efficace: infatti i pazienti di entrambi i gruppi pensavano di avere ricevuto il trattamento reale, cioè che fosse stato tolto il frammento di menisco rotto. Tutti i pazienti hanno seguito poi un ciclo di riabilitazione/fisioterapia e sono tati valutati dopo 2 mesi, dopo 6 mesi e anche dopo un anno. Quello che è stato valutato sono stati il dolore al ginocchio, il gonfiore, la sensazione di cedimento, l’indolenzimento dopo le attività, la rigidità mattutina del ginocchio, la debolezza della gamba e la presenza di fitte dopo essere stati molto in piedi. Ma non solo: ai pazienti è stato anche chiesto quanto dopo l’intervento il loro ginocchio gli avesse permesso di tornare alle loro attività preferite, allo sport e al lavoro, o quanta preoccupazione e frustrazione procurava ancora il ginocchio.
Bene, sapete com’è andata a finire?
Che entrambi i gruppi hanno avuto un miglioramento significativo, senza alcuna differenza tra i due gruppi in nessuna delle variabili  indagate sopraddette. Quasi i due terzi di entrambi i gruppi sono stati soddisfatti del risultato, e avrebbero rifatto esattamente lo stesso intervento (anche quelli dell’intervento “finto”, per intenderci). Come vedete in entrambi i gruppi ci sono pazienti che non sono migliorati molto, ma la cosa fondamentale è che sono nella stessa percentuale in entrambi i gruppi, a differenza di quello che il senso comune ci porterebbe a pensare.
Non so se vi rendete conto di quello che è stato veramente fatto: per verificare un’ipotesi che sembra scontata e non meriterebbe di perderci altro tempo sopra (cioè che un ginocchio dolorante con una lesione meniscale degenerativa, vada operato per togliere il frammento di menisco consumato), un gruppo di medici ha anestetizzato e infilato degli strumenti tramite piccoli fori nelle ginocchia di alcuni pazienti, senza fare assolutamente nulla al loro ginocchio.
Pensateci un attimo: voi ve lo fareste fare?
Forse no, ma è proprio in questo modo che la scienza fa dei passi avanti: le opinioni dell’essere umano sono spesso ingannevoli, e altrettanto spesso sono confutate quando messe a confronto con metodi scientifici. Guardate che è tramite studi come questo che la medicina progredisce: vi ricordate quanti interventi alle tonsille e appendiciti erano fatti 30 anni fa? Ora ne sentite ancora parlare? Sapete che allo stesso modo è stato dimostrato che per il dolore muscoloscheletrico gli ultrasuoni hanno la stessa efficacia dell’ultrasuono “finto” (finto vuol dire che era tenuto spento, senza che il paziente lo sapesse)? Oppure che si è visto che avere una gamba più corta o il bacino ruotato non hanno nessuna correlazione con il mal di schiena? Anche in questo caso sembra intuitivo che avere una gamba più corta (fino a 1,5 centimetri) ci renda più predisposti al mal di schiena. E invece è stato verificato che non è così: su 1000 persone con la gamba più corta e 1000 persone con le gambe uguali, la percentuale di soggetti con il mal di schiena è esattamente la stessa. Ma siccome il mal di schiena è molto comune (fino all’86% della popolazione ne soffre prima o poi), è normale che buona parte delle persone con mal di schiena abbia una asimmetria assolutamente irrilevante delle gambe o del bacino o di qualsiasi altra cosa volete. La stessa cosa dicasi per la presenza di discopatie, o schiacciamenti o ernie discali: la percentuale è la stessa sia tra chi soffre di mal di schiena che tra chi non ha alcun dolore. In sostanza questi “difetti” sono assolutamente normali e comuni, per cui si ritrovano anche in chi ha dolore alla schiena.
Tornando al nostro studio sul ginocchio: sembra quindi che, almeno per lesioni meniscali degenerative, il frammento di menisco rotto non sia la causa del dolore. Il frammento rotto è semplicemente il segno di un’usura cronica, ma ciò che sta provocando il dolore è un altro meccanismo (il perché si ha dolore richiede un articolo tutto suo).
Da questo studio deriva quindi che il trattamento che sembra essere efficace è una combinazione di riposo, di fisioterapia e del tempo che passa (il tempo è fondamentale in questi problemi). Infatti come succede per esempio anche negli interventi di lesioni di cuffia dei rotatori nelle spalle, sembra che quello che serva davvero per ridurre il dolore non è tanto l’intervento in sé, ma il periodo di riposo successivo di tre settimane e la riabilitazione progressiva. Ma convincere una persona a tenere un tutore senza operarsi per due settimane di fila senza muovere il braccio è pressochè impossibile, mentre dopo l’intervento è ritenuto obbligatorio: e se fosse proprio l’immobilità a dare inizio al processo di guarigione?
Parentesi sulla spalla
Sapete che il successo di un intervento alla cuffia dei rotatori, cioè la sparizione del dolore, non è correlata allo stato del tendine riparato dopo un anno? Significa che ci sono persone operate che un anno dopo non hanno più dolore, ma il loro tendine in realtà non si è riparato molto bene (a volte è esattamente come prima), mentre ci sono altre persone con il tendine che si è riparato bene ma che hanno ancora dolore. Per cui, è veramente il tendine lesionato a fare dolore? Anche in questo caso probabilmente no: forse anche voi conoscete  qualcuno che ha i tendini della cuffia un po’ lesionati che ha avuto dolore per un certo periodo, ma non si è operato, e ora non ha più dolore.
Fine parentesi
DadoVedremo in futuro se studi di questo tipo serviranno a risparmiare almeno una parte di quei 4 miliardi di dollari di cui parlavamo sopra, e se tra qualche anno la meniscectomia “da usura” diventerà come l’appendicite.
E voi? Se vi propongono di fare un’artroscopia per pulire un po’ il menisco, che farete ora?
Nel caso decidiate di non fare un intervento probabilmente inutile (nel senso che sia lo facciate sia che non lo facciate, dopo sei mesi/un anno avete la stessa probabilità di stare bene), bevetevi un bicchiere alla salute dei coraggiosi pazienti finlandesi che hanno dato il consenso a farsi infilare degli strumenti nel ginocchio senza fare assolutamente nulla, solo per la conoscenza.

Samuele Graffiedi, Fisioterapista 

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