domenica 23 giugno 2013

Cordenons, 14-16 Giugno 2013. Magraid 2013, scritto da Tullio Frau (atleta totalmente cieco).

Il sole è alto nel cielo, il campo base è ormai brulicante di atleti multicolori, le tende ben disposte formano un accampamento pieno di vita. Io prendo posto nella mia brandina da campo e così incomincia la preparazione minuziosa per la prima tappa di questa ennesima avventura.
Tullio Frau.
Dopo aver ritirato il  pettorale che mi è stato assegnato, incomincia la selezione degli indumenti: maglia, pantaloncini e calzini, cose ormai testate da tempo negli allenamenti. Dopo l’appello tutti sui pullman verso la piazza di Cordenons, da dove prenderà il via la prima frazione di 25 km, che si snoda attraverso le campagne lussureggianti del comune suddetto. Manuele è sempre al mio fianco, tutti siamo lì al sole, pronti per scattare: è sempre come fosse la prima volta, l’emozione mi prende e a momenti non riesco a parlare. Ma allo sparo del commissario di corsa, il gruppo si mette in movimento e un lungo serpentone di atleti festanti scorre sotto il palco, sommerso dagli applausi dei presenti. La serata è calda e umida, si fa fatica a respirare, ma dopo qualche km il fiato si sistema, e il ritmo diventa costante. “Manuele, andiamo piano, teniamo pure un ritmo lento, a me interessa arrivare e domani la tappa sarà sicuramente molto dura”. Nel percorso si succedono la strada sterrata, il sentiero in mezzo alla vegetazione bassa e agli arbusti; di tanto in tanto un corso d’acqua ci rinfresca la mente, mentre il sole piano piano si avvia al tramonto.
  
Tullio accompagnato da un'amico durante il Magraid.
Oramai siamo al ristoro di metà percorso, il tempo impiegato non è male. “Via Manuele che si va!” Dopo aver riempito lo zainetto d’acqua, si riprende la corsa verso il Parareit, ora incomincia un tratto sassoso, ma non è ancora la vera identità del nostro Magraid, solo un piccolo assaggio di sassi, ma si può ancora correre con una certa tranquillità.
   Eccoci sull’argine maledetto, il solito tratto di percorso che si incontra alla fine di ogni tappa, il tratto che poi, dopo una leggera curva a sinistra, ci porta al traguardo. La voce di Yan Noel annuncia il nostro arrivo: una vera festa! Gli applausi dei presenti, i complimenti di tutti coloro che sono lì, ad attendere l’arrivo degli atleti! “Grazie Manuele, è stata una tappa bellissima, tranquilla e non particolarmente faticosa. Ora una buona birra ristoratrice, doccia e poi si mangia.
   A tavola non si parla che della tappa di domani, quest’anno il numero dei partecipanti è raddoppiato rispetto allo scorso anno, tanti non sanno ancora cosa li aspetti nel percorrere 55 km di tracciato molto duro e tecnico. Ma lasciamo pure che sia una sorpresa, certo è che il segreto di una frazione lunga come quella è solo una buona preparazione nelle gambe e soprattutto un’idratazione ben calibrata nel tempo: bere, bere e poi bere, guai a sentir sete, bisogna assolutamente anticiparla la sete, magari mangiare poco, ma assolutamente bere. Così dicendo e discutendo con i compagni della tavolata, si fa tardi e si va a dormire.
   La notte è fresca, dentro al sacco a pelo si sta benone, un usignolo ha scelto come palco per esibirsi un albero vicino alla nostra  tenda. Certo il suo canto è splendido, peccato che mi abbia impedito di dormire: avessi avuto un fucile! Ma no, poverino, cercava solo di cantarci la ninna nanna forse, ma io certo ho poco apprezzato il gesto, così gira che ti rigira nel sacco si è fatto giorno e l’ora di alzarsi è arrivata inesorabilmente.
  Sono due anni che non riesco a portare a termine questa tappa maledetta: nel 2011 mi sono fermato al 35° km, non volevo rischiare di farmi male, venivo da un brutto infortunio e non avevo la preparazione adeguata; nel 2012 invece un colpo di sole mi ha inchiodato al 40 km°, una vera disfatta, ero mortificato. Questa volta, costi quel che costi, arriverò al traguardo! Così pensando ecco arrivare Carlo, il mio amico che mi avrebbe accompagnato in questa lunga tappa. “Ciao atleta, sei pronto?” mi chiede. “Certo!”, rispondo. Siamo pronti per salire sui pullman che ci porteranno verso Domanins, verso l’azienda agricola di Michelangelo Tombacco, sponsor della manifestazione. Lì, nel piazzale antistante la sua cantina tutto è pronto, le foto di rito: le ultime raccomandazioni. Il gruppo è lì, pronto, sotto il sole che ci scalda, lo zaino sulle mie spalle non è quello di ieri, questo è più grande: ci ho dovuto mettere, oltre alle barrette energetiche, anche due ulteriori bottiglie con  Sali minerali. Sì, questa volta la sete e il sole non mi sorprenderanno, io devo arrivare al traguardo a ogni costo.
Immagine del Magraid.

   Mi sistemo ancora il cappellino con la mia bandierina della Sardegna, usata come veletta per difendermi dal sole sul collo. Ancora un sorso d’acqua, lo sparo del commissario di gara e via! Una brutta sensazione si impadronisce di me all’improvviso: ho paura di non farcela, le gambe sono pesanti, l’erba del percorso sembra impedirmi di correre, avanzo con pesantezza. No, no, questa volta arriverò; e dopo poco   il serpentone di atleti si snoda attraverso le vigne della tenuta agricola. carlo è sicuro al mio fianco: anche con lui, come con Manuele, l’andatura è lenta e costante, sicuro procedo nella mia dolce andatura. Tanti ci superano, ma tanti altri ci stanno alle spalle,  la prudenza invita molti a tenere un ritmo blando. Il sole è ormai alto e molto caldo, l’umidità dell’ambiente si fa sentire, i primi km sono molto faticosi, i 25 km di ieri si fanno un po’ sentire, ma dopo un paio di km le gambe girano. È strano, ma una brutta sensazione si impadronisce di me, non sono sereno, faccio fatica a prendere il ritmo giusto, e così, d’accordo con Carlo, incominciamo ad alternare corsa a camminata veloce: corsa dove il terreno è agibile, camminata invece dove il terreno è più ostico. Così viaggiando arriviamo con fatica nei pressi dell’agriturismo Da Tina: acqua fresca e tanti sorrisi e incitamenti dei volontari che ci infondono coraggio. “Dài Tullio, dài che sei forte, su, coraggio”! Un po’ d’acqua fresca da bere subito, altra per rifornire lo zainetto, un po’ di acqua in testa e a bagnare il cappellino e poi via, avanti per la strada. Siamo solo  al 15° km, ancora 40 e poi è finita, ma questo è solo un modo per ingannare la fatica, in realtà non sono sereno e così riprendiamo il nostro andare sperando che l’umore si risollevi.
  
Dopo qualche km incomincio a carburare, mi sento rinvigorire, quella fermata mi ha dato una sferzata di energia, ora sono tranquillo. La nostra andatura è costante, la corsa si alterna alla camminata e ormai siamo nel pieno dei magredi. La loro identità si sta rivelando in tutti i suoi aspetti ostici, duri e faticosi, proprio come li conosco ormai da anni: potrei dire che quei sassi li conosco uno per uno, ma non posso permettermi di correrci sopra, nascondono insidie molto pericolose per le mie caviglie già messe a dura prova negli allenamenti, e così pensando giù, uno scivolone, ma riesco comunque a restare in piedi. Carlo sicuro al mio fianco vigila attentamente il mio correre scegliendo sempre traiettorie più semplici, ma nonostante ciò il percorso è veramente pesante. Tuttavia non ci spaventa nulla, si corre e si cammina.
   Arriviamo in un punto di controllo, l’ambulanza a caricato già alcuni atleti che si sono ritirati a causa di disidratazione e, sollevando un polverone, si allontana. Raggiungiamo un gruppetto di 4 concorrenti, che per un lungo tratto ci fanno compagnia, ma dopo poco, ad uno ad uno si staccano e restano in dietro. Solo Angelo, un signore molto gioviale, ci resta vicino e con lui proseguiamo nel nostro percorso: in queste gare c’è di bello che si può fare amicizia anche in corsa, ci si scambia consigli e si chiacchiera del più e del meno, sempre che il fiato te lo conceda, naturalmente. Così, tra una chiacchiera e l’altra, ci si avvicina a metà percorso. La fatica incomincia farsi sentire, di tanto in tanto mi asciugo il sudore dalla fronte, il percorso non cambia. Ormai siamo nel cuore dei magredi, terra magra, arida e ostile agli umani, ma, nonostante queste caratteristiche, il panorama che ci circonda ha un fascino speciale: oltre che sassi, pochissimi arbusti e, all’orizzonte, solo silenzio e di tanto in tanto ventate di profumi indefiniti, qualche fiore che sfida l’aridità del terreno, qualche uccellino svolazza intorno a noi in cerca di non so cosa. Uno scenario crudo, ma altrettanto splendido.
   Ormai dovrebbe mancare poco al ristoro ufficiale dei 35 km: sono sicuro, dietro questa curva ci siamo. Infatti, dopo una curva a gomito, ecco in lontananza il vocìo che proviene dalla struttura scelta per collocare il ristoro. Gigi ci viene incontro: “Dài, bravi, ragazzi, vi vedo bene! Dài, un po’ di acqua fresca, Tullio, la tua coca fresca!” “Sì, grazie, una manna dal cielo”! Poi una bella rinfrescata sotto il rubinetto, che  splendore! Io e Carlo, insieme ad Angelo,  ci sediamo un po’, lì ad attenderci troviamo Claudio, che si è fatto trovare lì per proseguire con noi in questa avventura. Sì, lui percorrerà con noi gli ultimi 20 km che ci separano dal traguardo. Il nostro ritmo è costante, se continuiamo così dovremmo farcela in meno di 10 ore. Splendido sarebbe, e così dicendo ci rimettiamo in corsa verso il Parareit. “Ciao Gigi, grazie infinite e a questa sera!” Le sue raccomandazioni sanno di incoraggiamento e sono una spinta ad andare avanti con cautela. Il sole può ancora tradire. “Attenti, bevete e state calmi”!
  
Ora eravamo in 4, Angelo correva un po’ per conto suo con le cuffiette per la musica, io, Carlo e Claudio invece procedevamo insieme scambiandoci frasi di incoraggiamento e parlando del più e del meno. Le descrizioni di Carlo mi davano un’immagine dell’ambiente e mi sembrava di vederlo: in lontananza le montagne friulane, tutto intorno una grandissima distesa di sassi, canaloni formati dalle piene dell’acqua che durante l’inverno spesso invade questi terreni, ma ora solo aridità e null’altro.
   Ormai siamo in prossimità del 50° km. Mancano forse 6 o 7 km, ci disponiamo in fila indiana, il sentiero è stretto e non si può correre affiancati. Carlo mi sta davanti, Claudio invece dietro, il cordino lungo mi consente di tenere una distanza regolare da Carlo che guida. Impostiamo una corsa lenta verso il traguardo, ormai ci siamo, questa volta ho vinto io! Ecco la curva a sinistra, il campo base è lì, sì, eccoci! Carlo alla mia destra, Claudio alla mia sinistra, mi lasciano libero di poter arrivare senza cordino a braccia alzate verso il traguardo. “Grandi - gridano, - grandissimi”! Tutti ci stanno intorno, un lungo abbraccio con Carlo suggella questa indimenticabile giornata. Grazie, grazie, e ancora grazie, sono felice! Circa 10 ore per percorrere 55 km, per un podista esperto potranno sembrare un’eternità, qualcuno potrà pure sorridere, ma io sono consapevole e orgoglioso di aver potuto portare a termine un’impresa, di aver corso su questi terreni impervi senza saper dove mettere i piedi, rischiando ad ogni passo di storcersi le caviglie. Ne sono uscito incolume, con qualche acciacco, ma sono in piedi, felice  e con la mente proiettata alla tappa di  domani, solo 20 km ci separeranno dai fatidici 100.
   “Ragazzi, una birra ristoratrice?” “Sì, è quel che ci vuole”. Poi le foto di rito. Amici, atleti, i volontari del campo, tutti ci stanno intorno per complimentarsi con noi. L’abbraccio di una amica cara, Felicita: grazie di essere venuta, non sai che piacere mi fa! Anche lei, come tutti, è molto generosa con i complimenti, ma credo di non meritarli, potrei fare meglio. Sì, ma non importa, ora una bella doccia, e poi tutti insieme a condividere il meritato pasto gentilmente preparato dai volontari del campo. A tavola non si parla che della tappa, delle difficoltà incontrate, degli episodi che hanno contrassegnato la giornata, episodi che fanno sorridere o riflettere, ma nel complesso il racconto sa di avventura vera. Ora tutti a nanna: Carlo mi accompagna in tenda, ora anche Gigi abbandona i lavori del campo base e incomincia a calarsi nei panni del mio prossimo accompagnatore. Domani lui e ancora Manuele mi accompagneranno nella tappa finale di 20 km.
   Dentro al sacco a pelo sento caldo, mi scopro e sento freddo, credo di aver la febbre, mi alzo e prendo un’aspirina, faccio molta fatica a prendere sonno. Questa notte non c’è l’usignolo, ma un gallo che canta continuamente, che fastidio! Ma poi la stanchezza prende in sopravvento e crollo in un sonno ristoratore.  
Ormai è giorno, il campo si risveglia, c’è un’aria allegra in giro. Tutti parlano della tappa di oggi, solo 20 km, ma non sono facili, oggi si corre ancora su terreni molto impervi, dentro e fuori dall’acqua, quindi il pericolo di vesciche è molto concreto, poi bisogna fare i conti con la fatica di ieri, ma che importa? Tutto è pronto, tutto è pronto. Oggi la partenza è dal campo base, si percorre a ritroso la parte finale di ogni tappa per poi gettarsi sull’ultimo percorso che ci conduce in direzione Zoppola, per poi ritornare verso Cordenons, dove, al Parareit, è sistemato il campo base. Lo sparo del commissario dà il via all’ultima frazione. Via, il gruppo si sgrana velocemente, in breve la mia posizione si colloca nelle retrovie, ma non sono ultimo. Si procede con calma, bisogna comunque sempre e solo arrivare al traguardo. Sentiero ben percorribile si alterna a tratti di magredo insidioso, splendidi boschetti ci rinfrescano l’aria, ambienti diversi dalla tappa precedente: vegetazione fresca e  profumata, una leggera brezza di tanto in tanto ci addolcisce la corsa. Eccoci al ristoro di metà corsa, i volontari ci incitano da lontano. Acqua fresca, una fettina di mela, un bicchiere di coca cola, splendido! Mi sfilo lo zainetto e mi tuffo nel fiume fresco: che meraviglia! Poi via di nuovo in corsa.

   Ormai mancano credo una decina di km, Gigi e Manuele sempre al mio fianco, bene, bravo, metti bene i  piedi, su, giù. È un percorso molto accidentato, corsi d’acqua freschissima da attraversare, su e giù per le rive scoscese dei fiumiciattoli, sabbia, sassi ghiaia e ogni sorta di ostacoli caratterizzano la corsa. Arriviamo finalmente al pallone che segna l’inizio dell’ultimo tratto, ora mancheranno solo 4 km circa. Sono ultimo, ma ora si può correre: l’adrenalina, l’entusiasmo, e le ultime forze mi danno un vigore incredibile, il ritmo è buono. Incominciamo una buona rimonta, via via superiamo una dozzina di atleti ormai stanchi e privi di energia. Eccoci alla curva a sinistra che ci separa dal traguardo. È finita, è finita! Sì, grandissimi Gigi e Manuele, un grande abbraccio ci accomuna nella gioia di aver finito e portato a termine questa sesta edizione di Magraid. Avevo promesso a me stesso di farcela e così è stato. Mentre tutti mi stanno intorno per complimentarsi, l’abbraccio di mia moglie che è lì ad aspettarmi mi riempie di gioia, ma la mia mente è altrove in  pochi istanti ripercorro le tre tappe. Mi tornano in mente tutti i sassi, uno per uno, le storte alle caviglie, una in particolare alla fine della terza tappa: credevo di aver distrutto i legamenti del piede sinistro, ma niente, solo un forte dolore che mi ha accompagnato fino alla fine. Rivivo km per km, il sole che ci ha accompagnato e tutti gli episodi che hanno contrassegnato questi tre giorni memorabili, un turbinio di pensieri. Non so cosa mi spinga ad affrontare questo tipo di competizioni, a confrontarmi con atleti che sono dei giganti se paragonati a me. Credo che comunque la molla principale sia il desiderio di normalità, di vivere esperienze che altrimenti non potrei mai assaporare, non so di certo cosa mi spinga a superare difficoltà e sofferenze come quelle che si incontrano affrontando gare simili. So comunque che sono felice e orgoglioso di me stesso e felice di avere degli amici che condividono con me queste sensazioni. Amici come Gigi, Carlo, Manuele e Claudio non è facile trovarne, a loro sicuramente vanno il mio ringraziamento e la mia gratitudine. Io certamente ho incontrato grosse difficoltà, ma loro si sono assunti una grande responsabilità nell’accompagnare un non vedente in un’impresa già difficile per un normodotato, tanto più per me.

Le foto sono di Sandro Sedran.

Nessun commento:

Posta un commento