Una scena che capita abbastanza di frequente nella pratica clinica è questa: il paziente ha un dolore al ginocchio da qualche tempo. Siccome il dolore non passa, fa una radiografia (Rx, comunemente chiamata “lastra”) e, visto che c’è, la fa a entrambe le ginocchia. Molto spesso si trova dell’artrosi, ossia una degenerazione della cartilagine articolare con produzione di osteofiti, cioè delle piccole calcificazioni attorno all’articolazione...ma il bello è che spesso capita che si trovano le cose peggiori nell’altro ginocchio, cioè quello che... non fa male!

La correlazione tra le anomalie strutturali trovate con la RMN e il dolore è molto bassa, dell’ordine del 5-10%.
Prendendo come esempio la schiena questo significa che se fate una RMN alla schiena per il vostro dolore lombare cronico, troverete quasi sicuramente qualcosa (la probabilità di trovare qualcosa di anomalo cresce ovviamente con l’età), ma questo qualcosa ha al massimo un 10% di probabilità di avere a che fare con il vostro dolore. Giusto per la cronaca: in questo 5-10% di casi in cui quello che si vede nella RMN è proprio quello che sta causando il vostro dolore, solitamente è già molto chiaro dall’esame clinico qual è il tipo di problema. Trattasi in genere di: fratture vertebrali, stenosi del canale lombare e compressioni radicolari da ernia espulsa (la cosiddetta “sciatica”, quella vera però). Diciamo che nella migliore delle ipotesi la risonanza magnetica deve servire a confermare una diagnosi, non a fare una diagnosi.
In conclusione, molti di noi, se non tutti, abbiamo delle anomalie nella risonanza e negli Rx senza avere alcun tipo di dolore. Degenerazioni della cartilagine, bulging discale, ernia del disco, schiacciamenti, lesioni della cuffia, calcificazioni nei legamenti o nelle articolazioni sono tutte normali modificazioni correlate all’età che possono esistere senza dolore. Questi cambiamenti tissutali sono del tutto normali e più numerosi man mano che l’età avanza, anzi, sarebbe anormale non averli. È esattamente come avere i capelli bianchi o le rughe sulla pelle. Potete immaginare queste modificazioni strutturali come delle “rughe dentro”.

Sono solo rughe!
Direte: Ok, la risonanza non ci dice tutto, ma allora... perchè mi fa male?
Questo è un frammento di un articolo apparso sul New York Times scritto da un chirurgo di fama proprio sul problema dell’eccessivo utilizzo della risonanza magnetica:
“....i pazienti con dolore chiedono di fare una risonanza sperando di trovare quello che provoca
il loro dolore; allo stesso modo i medici sono tentati di fare l’esame al paziente, e, una volta fatta,
è comune per i medici e i pazienti supporre che ogni anomalia trovata sia la causa del loro dolore....”
Ora, tornando alla domanda: allora, perché mi fa male?
Il fatto è che la psicologia ci dice che l’uomo vuole delle risposte semplici e facilmente comprensibili: queste sono quelle che fanno veramente presa nella nostra mente. Se poi vi mettono anche un paio di metafore, il gioco è fatto: nessuno ci toglierà più dalla testa che è proprio quell’anomalia a fare male. Se vi dicono che il disco tra L5 e S1 si è un po’ ridotto di spessore, da qui alla parola “schiacciamento” il passo è breve, e da qui a pensare che correre non vi faccia bene perché tende ad aumentare questo schiacciamento è un attimo. Morale, per una banalità che non ha nessuna rilevanza patologica, ogni volta che sentite qualche fastidio alla schiena, penserete al danno irreversibile che state facendo a quelle due vertebre e magari smetterete anche di correre, senza sapere che magari quello “schiacciamento” ce l’ha anche il 60 % dei vostri colleghi runner che non soffrono di mal di schiena.

C'è anche un cervello!
Il problema è che l’essere umano non è una marionetta in cui tutto si può spiegare tramite leve e carrucole: c'è il sistema nervoso di mezzo, cervello compreso. Per cui spiegare perché si ha dolore non è purtroppo così semplice e intuitivo, anche perché i meccanismi che lo provocano ancora non si sono compresi del tutto. Negli ultimi dieci anni si sono fatti passi da gigante i questa direzione.
Ora, senza tirare fuori concetti sulla neurofisiologia del dolore (primo perché servirebbero dieci articoli, secondo perché sarebbero un po’ noiosi), basta pensare che la risonanza non è altro che una fotografia del vostro corpo mentre ve ne state stesi in un tubo. Per spiegare il dolore sono molto più importanti il modo in cui vi muovete, le posizioni in cui state, l’articolarità che avete nelle varie articolazioni, la mobilità tissutale, la capacità di avere un tronco stabile mentre muovete gli arti, ecc ecc. Se avete dolore al ginocchio mentre correte, la risonanza vi dice solamente che avete la cartilagine usurata, ma non vi dice se è quella che genera dolore (per la precisione, tra l’altro, la cartilagine umana non è innervata, per cui non può generare dolore): probabilmente il dolore è spiegato meglio dal modo in cui si comporta il ginocchio mentre tutto il peso è su quella gamba, se la rotula rimane centrata nella gola, se la tibia non ruota all’esterno, se il quadricipite non è talmente rigido da spostare la rotula verso l’alto, ecc. ecc. Se avete dolore a scendere le scale, e mettendo un tape per riposizionare la rotula il dolore diminuisce, capite bene che la spiegazione della cartilagine è una spiegazione perlomeno parziale. Bisogna considerare poi che il dolore è influenzato non solo dallo stato dei tessuti, ma anche dal nostro cervello: anzi, ad essere precisi, il dolore è puramente un prodotto dl nostro cervello. Significa che lo stesso danno tissutale può provocare più o meno dolore anche in base alle nostre convinzioni, emozioni, esperienze precedenti, ecc, ovverosia in base a delle variabili non tissutali che modulano il dolore.
E qui veniamo all’ultimo punto: ok, la risonanza molte volte non serve, ma male non fa sicuro.
E invece, sembra di si. Ad esempio, questo studio analizzando 1226 persone con mal di schiena della stessa gravità, ha dimostrato che chi aveva fatto subito una risonanza, dopo un anno aveva più dolore e difficoltà rispetto a chi non l’aveva fatta.

Questo si spiega con quello che ho detto prima che il dolore è influenzato anche da fattori psicologici: se vi dico che avete un’ernia, che la vostra schiena è fragile, che avete la schiena di un’ottantenne, ecc. ecc, sto aumentando nel vostro cervello la sensazione di pericolo, per cui questo vi farà sentire più dolore, e voi vi preoccuperete troppo, e avete paura di fare ulteriori danni, e forse smetterete di fare l’attività fisica che vi piaceva e scaricava così tanto, e magari cominciate a non uscire molto di casa, a deprimervi un po’, ad avere un’ansia eccesiva ogni volta che dovete usare un po’ la schiena, per non parlare del lavoro che letteralmente vi sembra impossibile: in sostanza, si innesca un circolo vizioso. Questa cosa è chiamata in gergocatastrofismo: sappiate che è uno dei fattori che contribuisce al dolore cronico. Gli esami strumentali vi danno un’etichetta: ho un’ernia, ho la cartilagine consumata, ho uno schiacciamento, ho una calcificazione ecc ecc. Al momento buono, state certi che il vostro cervello tirerà fuori questa etichetta, contribuendo a peggiorare i sintomi. In questi casi, invece di effetto placebo di una cura, visto che all’opposto l’effetto è negativo, si parla di effetto nocebo.
Evitiamo il catastrofismo!
Avete presente quei modellini della schiena in cui si vede il bel disco con l’ernia in rosso? (ce l’ho anche io, mea culpa): in America stanno iniziando una battaglia contro questi modellini perché creano nel paziente (nella sua mente in realtà) una preoccupazione eccessiva, facendogli credere che ormai il danno è irreversibile, che se non stanno attenti a come si piegano il disco scoppierà del tutto, che non potranno fare più nulla ecc. ecc...ebbene, sappiate che questa paura è totalmente infondata (di quanto è robusta e non fragile la schiena parleremo in futuro).
Il danno strutturale non è una condanna a vita
Concludendo, la risonanza (e ogni esame in generale) è utile se cambia la prognosi e il trattamento: nel 90% dei casi non lo fa, e finisce nel cassetto assieme alle altre. Negli altri casi, serve solo a confermare un problema già evidente all’esame clinico. Molti ortopedici la considerano infatti uno strumento pre-chirurgico, piuttosto che un esame di screening. Cioè mi serve per confermare se il problema è chirurgico oppure no.
Infine, una precisazione: diagnosi significa individuare la natura o la causa del dolore. La diagnosi strutturale è di competenza medica. Compito del fisioterapista è la cosiddetta diagnosi funzionale: cioè non valuta tanto la struttura, ma come sta funzionando quella struttura. Il grado di movimento, la forza, il controllo motorio, l’elasticità tissutale, la qualità del movimento, la mobilità del tessuto neurale sono alcune delle cose che valuta il fisioterapista per individuare, se presente, la causa del danno strutturale.
Ecco qualche articolo in cui si evidenzia che il dolore non è correlato alle anomalie tissutali.
Gli articoli sono molto interessanti, per ora ve li elenco e basta, ma varrebbe la pena guardarli un po’ da vicino: lo faremo in un’altra occasione.
Samuele Graffiedi, Fisioterapista
Nessun commento:
Posta un commento