giovedì 10 ottobre 2013

Auckland, 15-09-13. Terra di All Blacks, di Haka e di vele veloci... Scritto da Alberto Cauli.

Chi e' interessato a paesaggi e spiagge, oceano e Mar di Tazmania forse non deve continuare a leggere. Chi e' curioso vada avanti; sino all'ultima riga. Chi ha la pazienza di seguirmi, non ha bisogno di altri suggerimenti. Stavolta e' diverso, il paesaggio e' fatto di cinquantamila poltroncine, di maglie nere e verdi, di palloni ovali, di Haka e di vele nella baia di San Francisco. La Nuova Zelanda e' anche questo: Rugby e Vela, Vela e Rugby. 

Alberto Cauli.

E' un sabato di fine inverno ad Auckland quando all'Eden Park Stadium va in scena la partita di rugby All Blacks contro South Africa. La citta' per il rugby quasi si ferma, specie se gioca la nazionale. I "tutti neri" appunto. Sono arrivati gli Springboks, il sopranome della squadra Sud Africana, con le loro maglie oro e verdi e una gazzella come simbolo cucito al petto. E' la prima volta che vado a vedere una partita di rugby, sono curioso. Uno sport famoso per la sua correttezza, non solo in campo ma anche tra le tifoserie. Al pomeriggio si va a Britomart Central Station per prendere il treno per lo Stadio. Prima novita'; e' gratis, il biglietto e' incluso nel prezzo del ticket per la partita. Scendo le scale mobili che mi portano ai binari, gli inserivienti guardano divertiti la fiumana nera e qualche sparuta maglia verde-oro che si avvia ai treni - "Rugby train on your right!" - ti dicono indicandoti la direzione. Se devi andare a vedere gli All Blacks devi necessariamente avere un qualcosa di nero addosso. Non manco a questa tradizione e con una piccola bandiera della New Zealand tutta nera, proseguo guardandomi intorno incuriosito. Mi colpisce da subito vedere alcuni supporters del South Africa che passando lungo il treno infilano, ridendo e urlando, la loro bandiera dentro gli scomparti, a mo' di presa in giro verso i supporters neozelandesi. Ridono dentro il treno, rispondendo sventolando le loro bandiere. Chi ha una sciarpa, chi ha una cuffia, moltissimi la maglia della nazionale, altri la faccia meta' nera e meta' bianca, altri ancora si sono disegnati una N su una guancia e una Z sull'altra. Qua e' cosi'. Lo riconosci che e' il giorno della partita, prima ancora di arrivarci alla stazione, quando per Queen Street vedi gruppetti di persone con la maglia degli All Blacks. E la passione non ha eta'. In treno incontro padri coi figli, famiglie intere, coppie di anziani, ragazzi, ragazze. Tutti con un qualcosa di nero addosso o con un trucco sulla faccia. Non importa se parli inglese, maori, indiano o cinese. Non importa se sei nato qui o se sei di seconda o terza generazione e ti hanno dato il passaporto neozelandese da poco. Qui l'importante e' andare allo stadio a sostenere gli All Blacks. La cosa piu' bella e' che in ogni carrozza tra tante maglie nere col colletto bianco risaltano bandiere e sciarpe del Sud Africa. E ridono assieme, scherzano. Si prendono in giro a vicenda. I neozelandesi sono sicuri che vinceranno, gli altri sperano il contrario. Ma gli All Blacks sono gli All Blacks. Quando il treno arriva a Mount Eden, il quartiere dello stadio, lo spettacolo e' impressionante. Fiumi di persone si avviano verso "il Tempio del Rugby", bandiere, sciarpe, maglie, ombrelli... "tutti neri"... risalta solo qualche chiazza di verde dei supporters degli Springboks. In lontanza i riflettori dello stadio sono gia' accesi. Controllo biglietti e via, sono dentro. Salgo una manciata di gradini e dinanzi a me si apre uno spettacolo meraviglioso. Il rettangolo verde con le porte da rugby sembra vicinissimo, tutto intorno spalti e le poltroncine su di un lato colorate di blu formano la scritta Eden Park. E' strano vedere questo scenario. Siamo abituati ai campi di calcio. Qui e' altra storia. Faccio tutto il giro degli spalti per raggiungere il mio posto. Section 304. Incontro persone di ogni nazionalita', inservienti che indirizzano ai propri posti alcuni spettatori, bambini che protestano tirando la mano dei genitori perche' vogliono le patatine fritte. Altri bevono birra (rigorosamente in piccole bottigliette di plastica). C'e' un ordine e un clima di allegria quasi inverosimile. Da quando sono arrivato ho incontrato soltanto sei poliziotti. E' una festa, una scena pero' mi rimane impressa: due famiglie che sono vicnie di posti, una tifa per gli All Blacks e l'altra per gli Springboks. Ridono e scherzano assieme, si offrono patatine fritte a vicenda e brindano assieme - cheers mate! - l'adrenalina sale mentre ragginugo il mio posto in alto, ultima fila. Il Sud Africa e' da poco rientrato negli spogliatoi e a breve le squadre entreranno in campo. Uno spettacolo folkloristico Sud Africano intrattiene il pubblico. Lo stadio si e' riempito, siamo in 47.000 come annuncia lo speaker. Poi ecco d'un tratto che gli Springboks fanno il loro ingresso in campo, qualche applauso e qualche fischio ironico. Ma quando nei maxischermi viene inquadrato il tunnel che porta dagli spogliatoi al terreno di gioco e sfilano velocemente i giocatori All Blacks, allora tutto lo stadio si alza in piedi ad applaudire e urlare. Guardo divertito cio' che succede attorno a me. Entrano in campo e scende il silenzio. Quarantasettemila persone tutte in piedi ascoltano gli inni. Vedo gente che smette di mangiare e bere. Tutti con lo sguardo fissato al centro del campo. Qui non c'e' la banda musicale dell'esercito come da noi che suona gli inni nazionali, ci sono due tenori che cantano dal vivo. E' uno scrosciare di applausi ininterrotti. L'inno Neozelandese quasi termina con la parola "New Zealand"... gia', New Zealand che strano angolo di mondo. Ma adesso scende davvero un religioso silenzio...la festa sta per cominciare. Gli Springboks si mettono in fila abbracciati nella linea mediana del campo, gli All Blacks di fronte a loro si dispongo sfalsati e accosciati. Solo uno di loro e' in piedi e si muove da una parte all'altra delle file. Questo e' il momento piu' magico di tutta la serata. The Haka. La famosa danza di guerra Maori che viene effettuata dagli All Blacks prima di ogni partita. Retaggio antico e lontano, quanto questo angolo della terra che mi piace definere come: "Dimenticato dal mondo stesso da quanto e' lontano". E' incredibile lo spettacolo di fronte a me. Un giocatore urla parole Maori e gli altri ripetono sbattendosi le mani sulle cosce, colpendosi il petto e gli avambracci. Il sincronismo e' perfetto, al millisecondo. Un tempo fatta per impaurire l'avversario prima della battaglia, oggi l'Haka ha sapore di tradizionalismo. Di questo popolo arrivato per primo in New Zealand, che ha trovato un senso di convivenza civile con i colonizzatori inglesi nella spiaggia di Karaka Bay come detto in un'altra nota. Sono enormi i Maori, eppure la loro cultura, le loro tradizioni sono un qualcosa di affascinante, cosi' possenti e cosi' delicati nel loro saluto tradizionale, strisciandosi fra loro il naso. Quando l'Haka termina in una moltitudine di applausi e urla, penso: "Kia Ora in New Zealand Alberto! Terra di storia e cultura, terra di un popolo guerriero con precisi rituali, terra remota e giovane al tempo stesso". La distanza dal resto del mondo la percepisci anche da queste piccole cose. La leggi nel bilinguismo dei cartelli nelle strade, dai nomi delle localita', dal mare e dall'oceano che circonda queste due isole che sembrano la nostra Italia rovesciata e privata della parte nord. Il posto piu' vicino oltre alle isolette del Pacifico e' la grande Australia, ad "appena 4 o 6 ore di volo". Sardegna: un'isola, un bilinguismo, un mare che ci circonda, dove il porto piu' vicino e' a 6 ore di navigazione o ad un'ora di aereo. Una terra antica con rituali precisi. Una terra dove la parte piu' aspra e genuina non si volle piegare ai romani colonizzatori del tempo. Forse l'aria di casa non e' poi cosi' lontana. La partita comincia, mischie furibonde, la palla che va da un lato all'altro del campo e poi placcaggi e infine meta! Si riparte dopo il calcio al pallone ovale che passa attraverso "il goal". Ancora mischie, placcaggi, passaggi di palla, ancora meta, poi un'altra e poi un'altra ancora. Improvvisamente si alza il grido "All Blacks! All Blacks! All Blacks!" e tre giri di ola percorrono lo stadio. E' una festa completa. Qui non ci sono gruppi di tifo organizzato. Qui ci sono spettatori di entrambe le maglie che si deridono a vicenda e si offrono patatine fritte. Qui capisci che il rugby e' capace di bloccare la citta' per 80 minuti. Che non importa se si e' anziani, in famiglia, con amici e con i bambini, cio' che importa e' esserci; qui in mezzo alla Nuova Zeleanda dal cuore tutto nero... all black appunto. Quando termina il primo tempo a centro del campo si esibiscono tre tenori, il centrale ha una chitarra strimpella qualche nota e... mi emoziono nel sentire "O sole mio!". O sole mio... qui! In Nuova Zelanda nel bel mezzo di una partita di rugby. La cantano perfettamente i tenori. Mi guardo intorno e mi metto a cantare pure io, probabilmente sono l'unico nella zona dove sono seduto, che conosce le parole. Canto e mi guardano sorridendo... "Yes I'm Italian!" - "Oh Italy! Really? Well done man! Come on your rugby team it's very good!" mi dice sorridendo il mio vicino di posto, quasi sorpreso che sia italiano con la bandiera della New Zealand al collo. Gli sussurro velocemente che si, anche noi siamo nel Sei Nazioni! E ride e cerca di cantare anche lui. Che bella cosa 'na jurnada 'e sole dopo la tempesta... proprio come il cielo sopra l'Eden Park che dopo la pioggia del pomeriggio ora e' sgombro! Quando la partita finisce noto che il detto sul fair play del rugby e' vero. Tutti gli All Blacks sfilano davanti agli Springoboks abbracciandosi e dandosi la mano. Non importa se a vincere sia stata la Nuova Zelanda. Il treno che mi riporta ad Auckland e' carico di maglie nere e di qualche sciarpa verde oro. E' stata davvero una festa. Si alza il vento nelle strade di Auckland come quello piu' impetuoso che soffia nella baia di San Francisco e che spinge forte il catamarano di Team New Zealand facendolo letteralmente decollare sull'acqua. Fila veloce la barca neozelandese, inanellando race dopo race punti preziosi verso la conquista dell'America's Cup. A farne le spese e' il team defender americano Oracle Team U.S.A. Sembrano giocattoli i catamarani che si sfidano con di fronte il grande ponte di San Francisco, in cima alle loro vele l'emblema della Coppa America e le bandiere Neozelandese e a stelle e strisce. Il nostro tricolore con Luna Rossa e' tornato a casa. Auckland la "Citta' delle vele", come e' detta si prepara. E la sentono tanto i neozelandesi questa passione, che in tv passano veloci scampoli di regata con la scritta - "La Coppa America sta tornando a casa...", mentre in Queen Street lo striscione appeso dalla comunita' recita: "Go Team New Zealand! We are ready behind you!". Se cosi' sara' stavolta la festa sara' ai bordi della strada. E sara' un altro pezzo di questo puzzle che si chiama New Zealand. Qui Auckland terra di guerrieri tutti neri e di vele veloci che vincono race after race. 

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