sabato 2 agosto 2014

Catania, 02-08-14. Etna Trail di 64 km. Scritto da Gianni Mureddu.

Gianni Mureddu.
Correre è correre, Trail è fantasia. Quando siamo arrivati a Pianoprovenzana, erano le 04:00, buio come lava vulcanica, ma dal mare un alito di luce viola iniziava a salire I soliti preparativi agitati, mal di pancia dell’ultim’ora e paura d’aver dimenticato qualche cosa. Poi si parte, si ascoltano le gambe, i piedi, il fiato. Ci si dimentica del resto. Il sentiero scende piano nel sottobosco di pino laricio dell’Etna. Quando gli alberi si aprono in uno scorcio verso il mare, a 1800 metri di quota, quello che si vede è un’alba ancora soffusa ma piena di colori e sfumature dipinte da mani talentuose.
Corro rilassato, penso più che altro a guardarmi attorno, a godermi lo spettacolo. Faccio foto, un sacco di foto, maledico lo scarso talento fotografico che mi impedisce di far bottino di tutto questo ben di dio. Il sole decide di manifestarsi in tutta la sua potenza, sale forte e veloce, le ore passano, la discesa finisce, inevitabilmente comincia la salita, la prima della giornata: I monti Sartorius. Una fila di sette bocche vulcaniche apertesi nel 1800, una appresso all’altra, uno spettacolo preistorico. In lontananza si vede lo stretto di Messina e le Eolie: incredibile!
Il vulcano Etna.
Ancora salita, ancora lava, fino alla valle del Bove, 2200 metri, un immenso e spettacolare contenitore, in cui si sono riversati secoli di eruzioni. Sto correndo da circa tre\quattro ore, mancano ancora quaranta km e circa sette ore corsa, sto bene, ho solo le mascelle un po’ affaticate a forza di tenere la bocca aperta davanti a questa meraviglia primordiale. Chiazze giganti di Astralago spinoso dell’Etna ricoprono gran parte del sentiero a mezza costa che ci riporta a Pianoprovenzana, 1800 metri. Si chiude il primo anello di 35 km, ne rimangono 30 e circa 2000 metri dislivello per salire fino in cima, fino al nuovo cratere che si è aperto solo pochi giorni fa a quota 3000, io a quello penso, corro e non vedo l’ora di trovarmi faccia a faccia col nostro ospite. Ora il sentiero è facile, corre in leggera discesa, sottobosco di roverelle, terreno morbido e piacevole, ma non dura molto, solo 5 km, poi di nuovo lava, un mare di lava vecchia di secoli, figlia di antiche eruzioni, tutto nero a perdita d’occhio per non so quanti chilometri. Il telefono cinguetta, arrivano sms belli, che mettono coraggio e voglia. Alla fine di questo mare nero, guardando in alto, ma molto in alto, c’è lui, il vulcano che spara certe esplosioni che vien voglia di buttarsi a terra, il fragore è fortissimo, i pezzi di lava incandescente scagliati fino a cento metri d’altezza, ricadono a poca distanza. Da dove sono io, vedo una strada che si inerpica con degli stretti tornanti verso la cima e penso: ci sarà una deviazione prima, non possono farci salire fin lassù, abbiamo già fatto 50 km, poi quello brontola forte, scoppia, è quasi sera, fa freddo, sono stanco, non ci voglio salire, ho lasciato la macchina in divieto di sosta, rischio di perdere l’aereo. Mentre penso a queste cose, ho già fatto i primi tornanti, il colosso è sempre più nero, il fragore dei botti sempre piu forte. Lontano lontano, piccolo piccolo, vedo uno che sale, poi un altro, vado a prenderli, mi dico, no sei scemo ? Non fare pazzie, mancano 15 km i più duri, i più freddi, i più belli. Devo tenere a bada l’entusiasmo. Ho la nausea, dice che lo fa l’altitudine, siamo trai i 2500 e i 3000 metri, sotto la lava lastre di ghiaccio. Sto camminando sul bordo di un cratere spento e profondissimo, i tornanti passano uno dopo l’altro. Intravedo l’ultimo ristoro, è ancora molto in alto, non penso mai che non ce la posso fare. L’euforia mi raggiunge quasi in vetta, mi dice di correre, mi fa ridere da solo senza motivo, sono in cima, mi guardo attorno, sembra di essere in cielo, sono in cielo. Ecco l’ultimo banchetto prima dell’arrivo, le fette di melone sono ghiacciate, e io, se non mi muovo a scendere, farò la stessa fine. Mancano solo 6 km al traguardo. La guida del soccorso alpino mi indica il punto da cui si scende: un canalone di ghiaia vulcanica a picco verso Pianoprovenzana che ci porterà da 3000 a 1800 metri in 4 km. Mi ci butto, ora corro come un canguro, salti di tre, quattro metri, ad ogni passo affondo fino alle ginocchia, la vocina mi dice: vai piano caxxo, non puoi romperti proprio ora, ma l’euforia ha fatto man bassa di me e mi spinge, mi trascina, mi prende a calci fino giù, fino al traguardo, con pezzi di vulcano che lottano con le mie unghie per avere uno spazio dentro le scarpe. Sento le voci, ma non sono matto, sono le voci dell’arrivo, il microfono mi annuncia al traguardo, sono felice, la gente mi acclama, passo sotto l’arco gonfiabile; è finita. Di già, cazzarola!! Mi sono divertito come un bambino in giostra.

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