giovedì 20 febbraio 2014

Vienna, 15-04-2012. Moammed e la maratona di Vienna. Scritto da Rodolfo Marroccu.

Rodolfo Marroccu.
La proposta giunse dalla società per la quale lavoravo: partecipare alla maratona di Vienna con “ovunque running”, usufruendo di un contributo finanziario elargito dalla stessa azienda. L’invito era rivolto a tutti i dipendenti. Per me fu una vera fortuna, una occasione da prendere al volo, anche se il contributo era irrisorio, pochissimi euro rispetto al costo totale. L’opportunità, consisteva nel poter utilizzare termini come “contributo” e “sconto” nel confronti di mia moglie per convincerla a “sopportare” le spese della trasferta. Funzionò. Mi fu sufficiente tergiversare e rimanere nel vago a ogni suo tentativo di indagare sull’entità precisa dei costi e dello sconto. Inoltre, per scardinare definitivamente ogni eventuale tentativo di resistenza, utilizzai anche la leva del romanticismo legato alla città di Vienna. “Pensa, saranno cinque giorni di vacanza tutti per noi in una delle città più romantiche al mondo”, riuscii a dirle. Andò a segno. Effettivamente la città si rivelò stupenda … per una maratona.
Dedicai tre mesi alla preparazione della gara, nel mio personale e sconclusionato programma di allenamento, inserii delle varianti per “alleggerire” alcuni lavori. Lo scopo era quello di riuscire a riservare delle energie anche per la successiva maratona di Cagliari, in programma dopo tre settimane. Non mi passò nemmeno per la mente di rinunciare a una delle due… 
Arrivai all’aeroporto di Vienna il venerdì precedente la gara in compagnia di mia moglie. Non fu difficile individuare il tizio che ci avrebbe accompagnato in albergo, un cartello con una scritta conosciuta lo “segnalava” senza possibilità di errore. Accanto all’uomo, che non parlava italiano e che venni a sapere essere l’autista, erano già presenti tre persone: due atleti e la moglie di uno di questi, di quello più “maturo”. Non attendemmo altri, il piccolo pullmino si avviò verso l’albergo. Il tragitto fu l’occasione per presentarci. Così, venni a sapere che il più giovane, cinquantaduenne, Francesco, avrebbe tentato nell’ occasione di battere il suo personale: 3h 5m. Ma la vera sorpresa riguardava il sessantasettenne, un autentico campione barese, capace di vincere nella sua categoria tutte le gare disputate. Si presentava a Vienna per confermare questa sua straordinaria regola. Curiosamente, era la moglie che, con orgoglio, raccontava delle sue imprese. Lui ascoltava imperturbabile, non riuscendo però a nascondere una evidente soddisfazione. Accennava di tanto in tanto leggeri sorrisi, indirizzati alla consorte. Ebbe solamente un leggero, impercettibile sussulto quando, giunto il mio turno, raccontai brevemente delle “mie” maratone. All’arrivo in albergo, ci presentammo agli altri atleti giunti prima di noi: una decina, più i rispettivi accompagnatori.
Percorso gara Maratona di Vienna 2012.
All’apparenza, almeno la metà di questi aveva più l’aspetto del turista che non quello del podista. Il pomeriggio della stessa giornata, venne dedicato al ritiro dei pettorali. La mattinata del giorno dopo, come previsto dal programma di viaggio, fu destinata a una visita guidata della città. Purtroppo, su richiesta di alcune mie vertebre, dovetti interrompere l’interessante giro turistico; in silenzio, sganciatomi dal gruppo, rientrai in albergo. Destinai quasi tutto il pomeriggio al riposo e a qualche leggero esercizio fisico. Il mattino del giorno della gara, accompagnati come buoni scolari dal responsabile di "ovunque running", giungemmo alla zona partenza dopo solo tre fermate di metropolitana. Mi accorsi che del nostro gruppo eravamo solo in otto, gli altri, come avevo sospettato, erano solamente dei turisti. Con Francesco e Michele ci ritrovammo all’interno dello stesso settore. Gli altri del gruppo si trovavano nei settori più indietro. Procedemmo alla preparazione scambiandoci pareri e consigli su come vestirci. In realtà, ero io che, come al solito, nella mia nervosa indecisione, continuavo ad alternare canotta, maglia corta, maglia lunga. In quel momento si faceva sentire un po’ di freddo, ma le previsioni per le ore successive promettevano più “calore”. Per via della tensione che andava progressivamente aumentando, perdevo tempo prezioso legando e slegando ripetutamente le stringhe della scarpa destra; quella del piede da sempre più sensibile alla pressione dei lacci. Finalmente sistemati, ci dirigemmo verso i bagni per soddisfare l’ultima esigenza prima del via: quella di convincere le ultime tre-quattro gocce di urina a uscire all’ aperto. A quel punto, più un rito scaramantico che una esigenza fisiologica, considerate le ripetute “urinate” precedenti in albergo. Dovemmo desistere per via delle file chilometriche che segnalavano la presenza dei “chimici”. Tentammo la fortuna all’interno di un bar e fu una goduria. Il locale era riscaldato e in fila per i bagni erano presenti pochi atleti. Soddisfatta la necessità “idraulica”, sostammo nel locale fino all’ultimo istante, quando, con molto rammarico lo abbandonammo. Alla partenza, ci posizionammo uno di fianco all’altro scambiandoci reciproca fortuna. Prima del via, la mia attenzione fu attratta dalla battuta di un connazionale dietro di noi. Questi, evidentemente giudicando le mie potenzialità e quelle di Michele dal colore dei capelli, si rivolgeva agli amici manifestando il sospetto che fossimo “presenze abusive” all’interno di quel settore. Mi sentii offeso. Mi voltai e lo invitai a ricordarsi del mio pettorale, sottolineandone il numero con un dito. Gli assicurai che avrei ricordato il suo (in seguito rilevai che forse era lui l’abusivo in quel settore). Mi sentivo caricatissimo ma anche nervoso e molto teso. Come sempre, anche allora, tentai di scaricare l’agitazione battendo fortemente fra loro le mani, manovra che attirò l’attenzione incuriosita dei vicini. Risposi con un sorriso.
Partenza Maratona Vienna 2012.
Lo sparo, diede il via anche all’immancabile segno della croce. Trascorsero pochi minuti e mi resi conto di avere perso di vista, nella confusione generale, i miei compagni Francesco e Michele. Pensai di essere stato troppo veloce e per un po’ calai di ritmo nel tentativo di farmi riprendere. L’iniziativa si rivelò vana. Decisi, quindi, di aggregarmi al vicino gruppo del “palloncino” delle 3h 15m. Durò poco, convinto dalla sensazione di poter dare qualcosa di più, abbandonai la compagnia e mi portai avanti al gruppo. Evidentemente la mia azione diede coraggio a un altro atleta il quale, sganciatosi a sua volta dalla comitiva, mi seguì. In breve mi ritrovai affiancato da un giovane alto, circa quarant’anni, di carnagione olivastra, passo agile e ampia falcata. In quel momento, non potevo sapere che quel ragazzo dall’aspetto magrebino, sarebbe stato per tanti chilometri il mio compagno di percorso. Ci rendemmo subito conto che non avremmo potuto intenderci a parole; io non capivo il suo francese, lui non comprendeva il mio italiano. Sopperimmo alla difficoltà utilizzando semplici ma efficaci gesti, come due sordomuti. Non immaginai allora che, seppure senza pronunciare parole, nel silenzio, sarebbe nata una reciproca simpatia. Eventi che solo nella durezza di una maratona possono concretizzarsi. Riuscimmo a mantenere lo stesso ritmo per tanti chilometri, correndo fianco a fianco. Di tanto in tanto, cenni d’intesa e leggeri sorrisi per avere conferma reciproca che tutto stesse procedendo per il meglio. Persino brevi rallentamenti dell’uno o dell’altro per consentire recuperi di leggeri ritardi, generalmente in occasione dei ristori. Giunti al trentaduesimo chilometro, ebbi l’impressione di vedere davanti a noi la sagoma di un atleta conosciuto. Impossibile, lo ritenni uno scherzo della miopia, non poteva essere Michele, non era possibile che fosse davanti a noi, che fosse andato così veloce... E invece, accorciando la distanza che ci separava, la sagoma diventava sempre più nitida, sempre più chiara: era proprio lui. Lo raggiungemmo. La sua corsa era palesemente stanca e affaticata, il volto visibilmente sofferente. Brevemente mi confermò lo stato di crisi, ma manifestò anche la determinazione a non arrendersi e a continuare fino al traguardo. Sperava di superare il momento di difficoltà rallentando un po’. Con l’amico magrebino, riprendemmo la corsa al ritmo tenuto in precedenza. Ma non durò molto. Improvvisamente, giunto al 35° chilometro cominciai a sentire le gambe irrigidirsi, la vista appannarsi, il fiato appesantirsi. Come in altre maratone, nemmeno allora riuscii a capire quale assurdo fenomeno costringesse il corpo a una metamorfosi così improvvisa, complessa e assurda. Un leggero senso di stordimento mi costrinse alla decisione di calare di ritmo. Mi voltai di lato per incrociare lo sguardo del ragazzo e informarlo che non avrei potuto più fargli compagnia. E invece, me lo ritrovai qualche metro dietro, in evidente crisi anche lui. Mi guardò e scosse la testa tentando un sorriso. Un sorriso malriuscito, stampato su un volto che già tradiva sofferenza. Rallentammo e procedemmo ancora assieme per poco più di un chilometro. Fu sufficiente questa fase per consentirmi di recuperare energie. Iniziai a sentirmi meglio e ripresi ad aumentare il ritmo. Il compagno di viaggio non riuscì a seguirmi, con un sorriso appena accennato, mi propose lo scambio di un “cinque” e lasciò intendere che ci saremmo visti all’arrivo.
Immagine gara Vienna 2012.
In vista del traguardo, tentai una sorta di volata che risultò scoordinata per la stanchezza e per l’azione mordente dei crampi che, da un po’, avevano deciso di prendersela con i polpacci. Giunsi al traguardo con la solita “felice emozione” che sempre mi assale all’arrivo di ogni maratona. Il grande cronometro posizionato all’arrivo marcava 3h 10m 20s. Temporeggiai in zona traguardo, ma non attesi molto, l’ amico magrebino giunse subito dopo, visibilmente stremato dalla fatica. Appena superato il traguardo, notai che eseguì una panoramica visiva con la evidente intenzione di rintracciare qualcuno. Qualcuno che gli era stato simpaticamente amico per tre ore. Agevolai il suo tentativo sbracciando. Mi venne incontro sfoggiando uno scatto con le poche energie rimaste. Ci salutammo in un commovente abbraccio. Non lo vidi più. Nel frattempo, con un fantastico 3h 14m 14s, tagliò il traguardo Michele. Poco dopo incontrammo Francesco che aveva anticipato il mio arrivo di 1m e 50s. Improvvisamente, la stanchezza mi fece ricordare la maratona di Cagliari, l’avevo completamente dimenticata. Altro che dosare le energie fra le due prove: avevo speso tutto. Mi preoccupai , ma solo per un po’, avevo tre settimane di tempo per “riprendermi”. Nel pomeriggio seppi di essere giunto secondo di categoria, a 30s da un atleta tedesco. Invece, mi fu impossibile, purtroppo, risalire al nome dell’amico “a tempo”, avrei voluto conoscerne almeno il nome. Non ricordavo il numero del suo pettorale e le classifiche non mi furono di aiuto. Dovetti arrendermi. Una resa che durò circa un mese, periodo in cui mi giunsero alcune fotografie della gara. Più di una mi ritraeva con l’amico magrebino e il suo numero di pettorale. Dalle classifiche risalii al suo nome e al tempo fatto registrare all’arrivo: 3h 13m 46s. Con l’ausilio di internet, tentai di sapere qualcosa di più sul suo conto. Mi andò bene: un ingegnere marocchino con studio a Parigi. Gli inviai una fotografia che ci ritraeva assieme, accompagnandola con dei saluti. La risposta suscitò in me una maratonata di emozioni… Ciao, Toumi Mohammed. Dopo tre settimane dalla prova di Vienna, partecipai alla maratona di Cagliari, facendo registrare lo stesso tempo: 3h 10m 11s. Anzi, nove secondi … Rodolfo

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