giovedì 22 maggio 2014

Cagliari, 11-08-13. L'incubo. Racconto scritto da Rodolfo Marrocu.

Accadde qualche tempo fa, pochi mesi prima del pensionamento, dopo un “fermo corsa” di alcune settimane per una fastidiosa infiammazione del nervo sciatico. Ripresi gradualmente gli allenamenti per tornare, finalmente, a una gara. Il nervo sciatico mi tormentava ancora, ma con meno vigore rispetto a qualche settimana prima; un po’ di tregua, insomma.
Rodolfo Marrocu.
La competizione era una gara scelta a caso, prevista in una domenica qualunque... Ovviamente, nessuna pretesa a livello di risultati cronometrici e nemmeno voleva essere una sfida al nervo sciatico; meglio non provocarlo.
Decisi, però, di trascorrere i tre-quattro giorni precedenti la gara in totale relax, nel tentativo di recuperare una sufficiente condizione psico-fisica. Fu così che il ………..
“Venerdì mattina, dopo una notte di sonno profondo, mi ritrovai in piedi, perfettamente riposato. Una condizione fisica che mi portò a decidere che quella mattina, per evitare persino un possibile stress da guida, mi sarei recato in ufficio in pullman e non, come al solito, in auto. Avrei approfittato della linea M, fermata in via XX Settembre a Cagliari, a due passi dall’ufficio. 
In perfetto orario, quindi, mi trovai sul mezzo alle sette, dopo cinque minuti di camminata da casa alla fermata. Stranamente, non scordai l’obliterazione del biglietto nonostante la scarsa abitudine al gesto. Mi sorprese che ci fosse già tanta gente e furono sufficienti ancora due fermate perché il pullman si riempisse del tutto. Molti studenti, ma anche tante persone che si recavano a lavoro e qualche anziano che, forse stanco di stare a letto e sfruttando il biglietto gratuito, si infilava sui mezzi pubblici per farsi trasportare in un andirivieni continuo.
Tutti i posti a sedere erano occupati, viaggiavo in piedi. E comunque, con la presenza di tanti anziani, non mi sarei “accomodato”; in realtà quasi tutti i sedili erano occupati dagli studenti .
Mi sentivo “stirare” nel tentativo di tenermi al sostegno in alto… troppo in alto per la mia altezza. Ogni tanto, potevo verificare l’”agitazione” dell’autista nel guidare; ripetute brusche frenate, apparentemente ingiustificate. Ero sovrappensiero, quando, all’improvviso una signora, un po’ avanti con gli anni, che stava a qualche metro di distanza più avanti, agitatissima, iniziò a urlare,: “autistaaaa, autistaaaa, fermi il pullman, fermi subito il pullman, sono stata derubata… il portafogli, mi hanno rubato i soldi”.
Già prima che l’urlo cessasse, si udì un clich, il segnale inconfondibile della prima reazione dell’autista: il blocco delle portiere. Il mezzo rallentò e riuscì, con qualche fatica, a trovare spazio poco più avanti. Si fermò che eravamo ancora a Pirri, ma ormai vicino all’Acentro.
Intanto, all’interno del mezzo, incredibilmente, si formò un’ampia superficie libera, nonostante qualche minuto prima pareva non esserci spazio nemmeno per un bambino; un vuoto tutt’attorno alla signora. La prima reazione di tutti, infatti, fu quella di allontanarsi il più possibile dalla donna, nel tentativo di non farsi coinvolgere. I ragazzi non si scomposero tanto, molti di loro, impegnati ad ascoltare il ripetitivo “TUM TUM “ del proprio MP3, nemmeno sentirono le urla della signora.
La mia reazione fu quella di pensare che, finalmente, con buona possibilità, sarebbe stato fermato uno dei tanti delinquenti borseggiatori che operano sui mezzi di trasporto a Cagliari; i quotidiani ne fornivano testimonianza con frequenza preoccupante. Avevo avuto modo di leggere che quasi sempre si trattava di persone apparentemente insospettabili, ben vestite, modi gentili …..Mi guardai attorno, cercando, in una sorta di gioco, di individuare il delinquente autore del furto. Fra quelli che ricordavo più vicini alla signora, solo un individuo poteva rispondere all’identikit che la mia mente aveva elaborato. 
L’autista, abbandonò il posto di guida e, sgomitando per farsi largo fra i passeggeri, si diresse verso la donna. Questa, girata di spalle e volgendo lo sguardo verso la parte posteriore del pullman, continuava, irrefrenabile, a imprecare, urlare e gesticolare in modo incontrollato. 
Raggiunta la signora cercò di calmarla, con scarsi risultati. Tentò: “signora, è sicura di ciò che dice? Non crede che.. magari…forse…chissa’… telefonando…” 
Non finì la frase. La signora, quasi lo aggredì e sempre urlando: “ma cosa dice, non telefono proprio da nessuna parte. E, comunque, a casa non c’è nessuno, sono vedova e la mia unica figlia è impegnata con gli esami di maturità”. Nel nominare la figlia si commosse, abbandonando per un istante l’atteggiamento alterato e astioso. Ma durò poco, subito riprese a imprecare, gesticolare e urlare,: “… il portafogli era nella borsetta e ora non c’è più … sparito, accidenti, lo vuole capire?...”
Pensai che in fondo, l’atteggiamento della donna era comprensibile, aveva appena subito un furto e magari pensava di recuperare subito il denaro e far punire il delinquente; aveva fretta che ciò accadesse.
Intanto l’autista, fallì ogni tentativo di calmarla e di recuperare il portafoglio. Provò anche, ma con poca convinzione e senza successo: “chi l’ha portato via lo restituisca e tutto finirà”. Per tutta risposta ci fu solo un brusio generale. Fu a quel punto che, scoraggiato, azionò un “grosso” cellulare e chiamò i carabinieri. “Pronto, sono l’autista del ……. sono parcheggiato vicino a…. c’è stato un furto……”. Raccontò brevemente l’accaduto e chiudendo aggiunse: ” va bene vi aspetto, ma fate presto, per favore”. 
Solo qualche viaggiatore accennò ad una timida lamentela per il fatto che il mezzo avesse interrotto la corsa. Si udì qualche “sono in ritardo, …..” “ho le chiavi del negozio da aprire….il titolare …” potrei scendere?”. Nessuno studente si lamentò per il ritardo che si andava accumulando…
L’autista chiese a tutti di pazientare avvisando che di li a poco sarebbero giunte le forze dell’ordine.
Infatti, dopo alcuni minuti, un’auto con due Carabinieri a bordo parcheggiò appena dietro il mezzo pubblico. In un istante, i due scesero dall’auto e salirono sul pullman dalla porta centrale, trovandosi direttamente vicino alla signora.
Quello un po’ più anziano riuscì a calmare la donna e, seguendo una sorta di rituale imparato a memoria, imbastì una sorta di interrogatorio. Prima, “curiosò” genericamente su nominativi, indirizzi, ecc. poi, nella specificità dell’evento motivo della loro presenza, chiese dell’importo contenuto nel portafogli e di eventuali altri “valori”. Venimmo a sapere che, ricordava con precisione, di avere i soliti documenti personali e un biglietto di cinquanta euro.

Quando la signora, alla domanda del carabiniere su quanto denaro le avessero portato via, rispose “cinquanta euro”, si udì la voce annoiata di uno studente ”sdraiato” in fondo al pullman. Questi, noncurante della presenza delle forze dell’ordine, gracchiò in sardo:” oh sa signora, e fosteti po cussu dinai esti fendi tottu custu casinu? Feusu una colletta e si du donau nosusu su dinai, basti chi si scittada”. Alle parole, fece seguire il gesto di togliersi il cappello dall’ampia visiera che portava di traverso sulla testa e lo protese in avanti col braccio, facendogli compiere un leggero movimento semicircolare, in un senso e nell’altro. Quindi, quasi fosse stata una fatica sovrumana quella appena compiuta, il ragazzo, risistemò il cappello trasversalmente sulla testa e riconquistò la postura originaria, sdraiandosi fino ad occupare anche una parte del sedile adiacente. Inutile dire che questo intervento scatenò una sonora e generale risata che aveva avuto l’effetto di rompere per un istante la tensione che aleggiava.

Finalmente, il carabiniere arrivò alle domande che la curiosità di tutti attendevano. D’un fiato: “sa chi gli ha portato via il portafoglio? lo ha visto? lo riconoscerebbe? saprebbe indicarlo?”
Era evidente che più di ogni altro, era la donna quella che aspettava tali domande.
Rispose riprendendo ad urlare, senza nemmeno dare l’impressione di riflettere: “certo che lo so, certo che saprei indicarlo”. 
Mentre lo diceva, accennò ad avanzare verso la parte posteriore del pullman.
“Coraggio”, la esortò il solito carabiniere. 
La donna, approfittando di un po’ di spazio di fronte a lei, distese il braccio destro allungando l’indice della mano. Avanzò di qualche passo, indirizzando il dito verso il tizio che stava davanti a me e che avevo pensato fosse il delinquente “manolesta”. Mi complimentai con me stesso, pensai: ” ho fatto veramente centro”.
Ma, incredibilmente, la donna nell’avanzare col dito minaccioso allungato in avanti, aveva superato quel tale, fermando l’indice a non più di un centimetro dalla fronte di quello che gli stava subito dietro: IO. IO, DANNAZIONE…
“ E’ lui il ladro”, sentenziò con voce rabbiosa la donna.
Sorpreso, incredulo e ammutolito, mi sentii mancare. La testa pareva scoppiasse, tutto sembrava girarmi attorno, nausea… voglia di scomparire. Non sentivo più voci, solo rumori assordanti e amplificati. Solo confusi pensieri, mille sguardi addosso … tutti dannatamente ostili.
IO, per la donna e ora anche per tutti gli altri, ero io il farabutto borseggiatore, il LADRO. Nella loro mente si era materializzata la figura che per settimane andava scorrazzando da un mezzo pubblico all’altro, borseggiando la gente. Chissà quanti dei viaggiatori avevano centrato la loro ipotesi pensando a me, complimentandosi ora con se stessi per aver immaginato giusto, 
Un maledetto e inarrestabile eco mi rimbombava nella testa: “è lui, è lui, è lui ….”.
Istintivamente, la prima cosa che feci fu quella di guardarmi attorno, nella speranza di vedere qualche viso conosciuto, qualcuno che potesse testimoniare “ sbagliate, non può essere lui, lo conosco, è una persona per bene…”. Ma immediatamente, questo pensiero venne sopraffatto dal timore per la figuraccia che avrei fatto se anche alla persona conosciuta fosse venuto qualche sospetto. Quantunque in stato confusionale, realizzai che erano pensieri stupidi e inutili e poi, non mi era parso di vedere qualcuno conosciuto fra i presenti. Tentai qualche parola ma riuscii solo a balbettare rumori incomprensibili. Intanto, alcune gocce di sudore cominciavano a scendermi lungo la schiena.
“Documenti, per cortesia”. La richiesta del carabiniere risuonò perentoria; una bordata. Confuso, impacciato, quasi tremante nel tentativo di “rintracciare” il documento. Pareva anch’esso sparito, introvabile. “Prego”, riuscii a pronunciare mentre porgevo finalmente la carta d’identità. Nel compiere l’azione, la aprii, quasi a verificare la fotografia, nella speranza assurda di non vedere la mia immagine ma quella di un’altra persona; uno sconosciuto. Inutile…
“Per il momento, questa la terrò io”, disse con tono fermo e deciso. “Ora ci dovrà seguire in caserma”, aggiunse.
Ogni mio tentativo di replica fu anticipato dall’intervento del secondo carabiniere, molto giovane, quasi un ragazzo, il quale mi consigliò di seguirli senza opporre resistenza, in caserma tutto si sarebbe potuto risolvere… 
Intanto, gli altri passeggeri rumoreggiavano, mi sentivo addosso tutto il disprezzo degli sguardi astiosi che riuscivano ad esprimere.
Una donna accompagnò la mia discesa dal pullman ringhiando: ”Restituisca i soldi e si vergogni, ladro. Magari è anche un padre di famiglia”.
Pensai a mia moglie e ai miei figli e barcollai. Mi commossi. Stranamente, nonostante sapessi di non essere il colpevole, provai un moto di vergogna. Mi sentivo umiliato. Abbandonai immediatamente l’idea di telefonare a qualcuno dei miei. Cosa avrei potuto dire? “mi stanno portando in caserma., pensano che sia un ladro”. Sarebbe stata solo preoccupazione anche per loro e nient’altro. Magari, sentendo le ragioni delle “forze dell’ordine”, avrebbero potuto anche dubitare ... lasciai perdere.
Intanto, in auto mi fecero prendere posizione nel sedile posteriore con affianco il Carabiniere “capo”. Nella parte anteriore, la donna e, alla guida, il “ragazzo”. 
La donna non aveva mai smesso di urlare, imprecare, inveire, minacciare. Cercai di concentrarmi, di calmare l’agitazione, di raccogliere le idee. Pensai di approfittare di quel breve viaggio in auto per tentare di riprendermi e provare una flebile reazione. Tentai. Rivolgendomi direttamente a lei, la pregai di credere alla mia innocenza. La invitai a frugare nelle mie tasche per verificare la presenza o meno del portafogli. Mi resi conto che, in un’azione involontaria, accompagnai questo invito col gesto di “tastare” tutte le tasche, quasi nel timore di trovarvi veramente qualcosa di “estraneo”. La risposta della donna all’invito mi gelò, smontò ogni possibilità che avevo di dimostrare la mia innocenza anche nei confronti dei Carabinieri. Infatti, ero convinto che prima o poi avrebbero accertato, anche frugando le tasche, che non avevo alcun portafogli; la prova regina della mia innocenza.
Invece, col tono di chi aveva ormai in pugno la propria preda, tendendosi verso di me, disse: “Mi prende per una stupida? Crede davvero che mi aspetti di ritrovare il portafogli all’interno delle sue tasche? So benissimo come agite nel compiere questi furti. Portate via i soldi e lasciate cadere il taschino oppure, il portafoglio lo passate a un complice il quale, con prontezza abbandona immediatamente il mezzo pubblico. Chi è il suo complice?”, concluse. Questa fu la risposta al mio invito.
Ormai mi sentivo prigioniero, sprofondato in un incubo, colmo di rabbia.
Pensai nuovamente ai miei cari… scartai ancora l’idea di chiamarli. Rinunciai nuovamente anche a una chiamata in ufficio. In che modo avrei giustificato l’ulteriore ritardo? Mi sentii isolato, assalito da una voglia di urlare, da una voglia di reagire con violenza. A stento riuscii a trattenermi. 
In caserma, il solito rituale. Prima verbalizzarono le dichiarazioni della donna, quindi, arrivò il mio turno. Il tutto, alla presenza di un carabiniere che pareva litigasse con la tastiera di un computer, evidentemente alle prime “armi”. 
“Sedetevi, ci sarà da attendere prima che arrivi il maresciallo” fu poi l’invito.
E invece, dopo pochi minuti si presentò una donna, particolarmente graziosa, in divisa; era lei “il maresciallo”. Avrà avuto non più di quarant’anni, bruna, linea perfetta… Dopo essersi presentata, si rivolse al carabiniere più anziano chiedendo qualche dettaglio sulla vicenda… Era evidente però che già sapeva della nostra presenza e dell’accaduto. Il carabiniere riassunse brevemente. 
Il maresciallo, ascoltò distrattamente, quasi attendesse con impazienza che il suo collaboratore concludesse… 
Infatti, subito dopo, il maresciallo si rivolse alla donna invitandola a raccontare la sua versione. 
Questa, iniziò con la sua solita voce alterata e minacciosa nei miei confronti. Il maresciallo, con fare estremamente deciso, la interruppe bruscamente pregandola di abbassare i toni e a non inveire nei confronti di alcuno. La donna, sorpresa e quasi intimorita dall’inaspettata decisa reazione del maresciallo, accolse l’invito annuendo con una smorfia. 
Giunto il mio turno, nonostante il mal di testa e lo stato confusionale che ancora avvertivo, riuscii a esporre le ragioni della mia presenza quella mattina sul pullman. Continuai raccontando brevemente della mia attività professionale e della passione della corsa. Conclusi affermando con decisione e convinzione la mia assoluta innocenza, rendendomi disponibile anche a sottopormi ad una verifica immediata. Il maresciallo, scosse il capo mostrando poco interesse a tale proposta.
Il comportamento che ne seguì da parte del maresciallo, fu apparentemente strano e inatteso. Dal verbale “fresco” di battitura rilevò il numero telefonico della donna, preannunciandole che, considerato il suo stato di agitazione, avrebbe telefonato a casa sua per assicurarle l’assistenza di un qualche parente. Procedette nel comporre il numero telefonico nonostante le rimostranze dell’interessata “troverà solo mia figlia impegnata nello studio per la preparazione di un esame. Non voglio venga disturbata” , obiettò. 
Bastarono pochi squilli e dall’altro capo del telefono: “si?”, domandò la voce di una ragazza.
“Qui è la caserma … sono il maresciallo… davanti a me è presente…” e proseguì raccontando in breve l’accaduto. Il telefono non era in “viva voce”, ma tutti potevamo udire distintamente la voce dall’altro capo dell’apparecchio. Io, per lo stato di agitazione e di malessere generale che mi opprimeva, riuscivo a seguire confusamente ciò che stava accadendo. Il nervoso e la rabbia alimentavano uno stordimento opprimente.
Dopo alcuni secondi di silenzio, la ragazza, ricambiando velocemente il saluto, chiese di poter parlare con la propria madre. Nessuno scambio di saluti: “Mamma”, esordì la figlia imprimendo alla voce un serio tono di rimprovero … e, sorprendendo tutti: “Chiedi immediatamente scusa a quel signore” continuò, “Il tuo portafogli è qui, l’hai dimenticato su una sedia assieme all’orologio … sarò subito da te” e chiuse. La signora, istintivamente diede uno sguardo al polso sinistro verificando immediatamente quanto appena udito: nel polso nessun orologio. Sull’ufficio piombò uno strano silenzio. Gli sguardi dei presenti si incrociarono fra loro, poi puntarono decisamente la donna e me, alternativamente. La sola che pareva non sorpresa da quanto accaduto, era il comandante, “il maresciallo”. 
E io? Già, io… Una normale reazione, avrebbe previsto un “giusto saluto” alla donna, un ringraziamento al maresciallo e una fuga veloce dalla caserma in direzione dell’ufficio, poco distante. Invece, nulla di questo. Probabilmente a causa dell’inattesa “notizia liberatoria”, ebbi un brusco calo della pressione. Riuscii a non perdere i sensi, a sedermi sulla sedia più vicina e a tenermi sufficientemente vigile anche se frastornato. Ora tutti gli sguardi erano su di me. Occhi che esprimevano preoccupazione. Fu a quel punto che d’un tratto, alle mie spalle… una voce conosciuta. Per quanto sembrasse impossibile, udii la voce da me più conosciuta: quella di mia moglie. Pensai ad un “contatto” nei suoi confronti da parte del maresciallo; iniziativa assunta a mia insaputa.
Non mi voltai, non osai farlo, mi vergognavo per le condizioni in cui mi trovavo. Sentivo la voce sempre più vicina… troppo vicina. Mi sentii afferrare la spalla sinistra e, mentre veniva scossa vigorosamente udii la voce che, amplificata nell’intensità:” Rodolfooo, Rodolfooo, svegliatiii, svegliatiii. E’ da tempo che la sveglia… arriverai tardi in ufficio”. Mi svegliai di soprassalto, respirando pesantemente, in un bagno di sudore… Un sogno, un dannato sogno. UN INCUBO!!!
Quella mattina, arrivai in ritardo in ufficio e non perché non ci fosse stato tutto il tempo se, come sempre, avessi utilizzato l’auto. Ma nessuno quel giorno mi avrebbe convinto a non utilizzare il pullman per il viaggio “quotidiano”. Lo feci dopo una doccia ristoratrice, con estrema calma e col sorriso sulle labbra al pensiero del sogno. 
Sul pullman nemmeno l’ombra di un solo studente, la scuola era già in “vacanza”. Era presente qualche anziano e alcune donne, quasi tutte col carrello per la spesa in mano. Istintivamente mi tenni a distanza di sicurezza da tutti i presenti; mi accomodai in fondo al mezzo, completamente isolato, rilassato e tranquillo. Socchiusi gli occhi, pensando all’incubo “vissuto” alcune ore prima…
Poi, dei passi e una voce:“biglietto, prego”…
“Accidenti, il bigliettooo!!!”…
Un saluto a tutti gli amici.
Rodolfo

5 commenti:

  1. Grazie per avermi "ospitato" nel tuo Blog.
    Rodolfo

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    1. Grazie a te Rodolfo, ottima scrittura e grande "suspance" sino alla fine. Non per volerti male ma... a quando il prossimo incubo? Ora siamo tutti in attesa...

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  2. scritto bene, coinvolgente, simpatico complimenti
    Benedetto Deriu

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  3. Antonello, al momento, per ragioni di tempo, non posso fare previsioni. Però, spero di tradurre sulla "carta", quanto prima, alcuni argomenti che già circolano per la mente...
    Rodolfo

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    1. Rodolfo credo di essere "operativo" con il mio blog sino a 100 anni per cui hai tutto il tempo per organizzarti...

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